venerdì 24 maggio 2024

 

CONDIZIONE SOSPENSIVA E PROVVIGIONE DEL MEDIATORE


Il ricorso allo strumento finanziario del mutuo costituisce elemento imprescindibile per il perfezionamento di una compravendita immobiliare nella grande maggioranza dei casi, soprattutto nel settore abitativo. Conseguentemente si rileva con estrema frequenza nelle proposte d’acquisto e, se accettate, nei conseguenti contratti preliminari, la presenza di condizioni sospensive legate alla concessione del mutuo.

Preliminarmente si richiama l’esigenza che dette condizioni siano improntate a criteri di concretezza. È infatti più che opportuno precisare quale sia l’importo necessario all’aspirante acquirente per potere procedere; prevedere genericamente che l’impegno all’acquisto sia “subordinato alla concessione di un mutuo” senza indicarne l’importo rende la condizione estremamente vaga e rende difficile, per l’aspirante venditore, valutare la serietà dell’offerta. Per esemplificare questo concetto, evidentemente una proposta d’acquisto in cui si indichi di aver bisogno di un mutuo per il 60% del prezzo ha di per sé un indice di affidabilità, nei confronti di parte venditrice che deve valutare se accettarla, ben diverso da una in cui si offre lo stesso prezzo indicando però la necessità di farsi finanziare per il 100% del medesimo. In secondo luogo, è altrettanto opportuno precisare quanto meno modi e tempi, non eccessivamente dilatati, in cui dovrà verificarsi la condizione.

A questo proposito, giova ricordare che l’impegno definitivo tra le parti a vendere ed acquistare l’immobile e il conseguente diritto del mediatore alla provvigione, nel caso di contratto sottoposto a condizione sospensiva, sorge al momento del verificarsi di quest’ultima (art. 1757 cod. civ.).

La giurisprudenza, anche della Corte di Cassazione, nei casi in cui le parti abbiano subordinato gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga mutuo per potere pagare in tutto o in parte il prezzo pattuito, ha ripetutamente definito tale condizione una “condizione potestativa mista”, riconoscendone prima di tutto la validità.

Ciò può sembrare scontato, ma non è, in quanto le “condizioni meramente potestative”, il cui esito dipende esclusivamente dalla volontà di una delle parti (es. comprerò se ne avrò voglia) sono nulle per espressa norma di legge (art. 1355 cod. civ.). Non così le condizioni sospensive quali quella legata alla concessione del mutuo, che dipendono non solo dall’attività dell’aspirante acquirente che si esplica nell’attivarsi per la ricerca dell’ente finanziatore, ma anche dalle decisioni che quest’ultimo autonomamente, in posizione di soggetto terzo rispetto al contratto preliminare, assumerà sul concedere o non concedere il finanziamento. Ecco spiegato il concetto di “condizione potestativa mista” che rende la clausola valida.

A questo punto diventa interessante verificare se il diritto alla provvigione possa, in determinate circostanze, sorgere anche nei casi di mancato avverarsi della condizione, cioè qualora il mutuo non sia stato concesso.

Ora, più volte davanti ai giudici sono stati presentati casi in cui si assumeva che il diritto alla provvigione dovesse essere considerato ugualmente sorto, deducendo una inerzia dell’aspirante acquirente che non si sarebbe attivato con diligenza per richiedere il mutuo. In tali giudizi, chi ha cercato di vedersi riconosciuto il diritto alla provvigione, ha dedotto e cercato di dimostrare comportamenti omissivi dell’acquirente nella fase di richiesta del mutuo, sostenendo la tesi che in conseguenza di questi ultimi la condizione dovesse considerarsi fittiziamente avverata ai sensi dell’art. 1359 cod. civ., che sancisce che la condizione si può intendere avverata quando non si sia verificata per causa imputabile alla parte chi aveva interesse contrario al suo avveramento.

I giudici, anche della Suprema Corte di Cassazione, hanno costantemente respinto tali tesi ed argomentazioni, esprimendo al contrario il principio che sia del tutto irrilevante, ai sensi dell’art. 1359 cod. civ., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, in primo luogo perché l’aspirante acquirente non parte da posizione di soggetto avente interesse contrario all’avveramento, avendo anzi egli in astratto interesse ad ottenere il mutuo che gli serve per procedere all’acquisto dal medesimo proposto e, in secondo luogo, perché i Giudici escludono la sussistenza in astratto di un obbligo giuridico di attivarsi, per quanto riguarda l’attuazione dell’elemento potestativo in una condizione mista. Tale principio si trova espresso in molte decisioni della Corte di Cassazione in controversie sorte tra agenzie immobiliari e clienti o direttamente tra le stesse parti contraenti (riferimenti: Cass. n.10074 del 18/11/1996, n.23824 del 22/12/2004, n. 22046 dell’11/9/2018, n. 17919 del 22/6/2023, n. 5976 del 6/3/2024).

In definitiva ed in conclusione, in presenza di una condizione sospensiva legata alla concessione di un mutuo, della cui validità non vi è motivo di dubitare, il diritto alla provvigione sorgerà soltanto in caso di positivo avverarsi della stessa, restando indifferenti, soprattutto nei riguardi del mediatore, comportamenti più o meno diligenti delle parti ed in particolare del promissario acquirente, soprattutto in applicazione dei principi recentemente espressi e ribaditi in giurisprudenza sulla necessità, perché la provvigione possa dirsi maturata, della conclusione di un contratto pienamente efficace tra le parti che le abiliti entrambe ad agire, a propria scelta, sia per l’esecuzione forzata del contratto, sia per il risarcimento del danno.


Avv. Giuseppe Baravaglio



sabato 11 maggio 2024

CEDOLARE SECCA E INQUILINO NON PERSONA FISICA

 


CEDOLARE SECCA E INQUILINO NON PERSONA FISICA


La “cedolare secca”, di cui all’art 3 del DLgs 14.3.2011 n.23, è un regime opzionale di tassazione del reddito fondiario derivante dalla locazione di immobili abitativi che prevede l’applicazione di una imposta sostitutiva sul canone contrattuale.

 Ai fini della verifica dei requisiti per poter fruire del regime della cedolare secca, fermo restando l’obbligo della locazione ad “uso abitativo”, la norma non prevede alcuna verifica in capo al conduttore che potrebbe pertanto essere sia un soggetto privato che commerciale.

Pertanto, oltre alla fattispecie più frequente ove sia il locatore che il conduttore sono persone fisiche, si potrebbero configurare le seguenti ipotesi:

             conduttore ente pubblico o privato che non agisce nell'esercizio di imprese, arti o professioni, purché risulti dal contratto di locazione la destinazione degli immobili ad uso abitativo in conformità alle proprie finalità,

             conduttore soggetto commerciale che destini l’immobile, evidenziandolo nel contratto,  ad abitazione del proprio personale.

Mentre sul primo punto il pensiero della prassi e della giurisprudenza è univoco, l’Agenzia delle Entrate è sempre stata contraria a concedere l’opzione della “cedolare secca” ove, pur essendo verificata la destinazione ad uso abitativo dell’immobile, il conduttore fosse un soggetto commerciale.

Infatti, secondo la Circolare dell’Agenzia delle Entrate 1.6.2011 n.26 (§ 1.2) occorre, al fine di valutare i requisiti di accesso al regime, verificare anche l'attività esercitata dal locatario per cui “esulano dal campo di applicazione della norma in commento, i contratti di locazione conclusi con conduttori che agiscono nell'esercizio di attività di impresa o di lavoro autonomo, indipendentemente dal successivo utilizzo dell'immobile per finalità abitative di collaboratori e dipendenti.” 

Sul punto la giurisprudenza di merito è espressa in modo altalenante con una prevalenza di decisioni favorevoli alla applicazione della cedolare secca anche ove il conduttore fosse un soggetto commerciale (C.T. Prov. Reggio Emilia n. 470/3/14, C.T. Reg. Lazio n. 1723/10/22, C.T.G. II Veneto n. 53/5/23) anche se non sono mancate quelle contrarie (C.T.G. II Lazio n. 1223/14/23; C.T. Reg. Toscana n. 590/6/22; C.T. II Trentino Alto Adige n. 9/1/22).

 La sentenza della Corte di Cassazione n. 12395 del 7.5.2024 fornisce la prima interpretazione di legittimità sull’argomento cassando il pensiero dell’Agenzia delle Entrate. Infatti la Suprema Corte afferma che il “locatore può optare per la cedolare secca anche nell’ipotesi in cui il conduttore concluda il contratto di locazione ad uso abitativo nell’esercizio della sua attività professionale”, in quanto l’esclusione prevista dall’art. 3 comma 6 del DLgs. 23/2011 “si riferisce esclusivamente alle locazioni di unità immobiliari ad uso abitativo effettuate dal locatore nell’esercizio di un’attività d’impresa arti e professioni”.

Infatti, poiché la possibilità di esercitare l’opzione spetta esclusivamente al locatore “senza che il conduttore possa in alcun modo incidere su tale scelta” la verifica del mancato esercizio di attività d’impresa deve avvenire solo in capo al primo soggetto “mentre resta irrilevante la qualità del conduttore e la riconducibilità della locazione” alla sua attività commerciale o professionale.

A nulla rileva il fatto che l’imposta sostitutiva generi vantaggi (esclusione dal pagamento dell’imposta di registro) anche in capo a quest’ultimo.

Peraltro la stessa ratio della legge, volta anche a facilitare il reperimento di abitazioni da locare, non esclude che tale esigenza sorga anche nell’esercizio “delle attività imprenditoriali, arti e professioni, che sempre più spesso avvengono lontano dal luogo di residenza/sede o sono dislocate in plurimi contesti territoriali”.

 Dal punto di vista operativo si ritiene che, fino a quando l’Agenzia delle Entrate non fornirà, tramite un nuovo documento di prassi, le indicazioni in merito alla possibilità di registrare in “cedolare secca” anche questa tipologia di contratti, gli Uffici territoriali rifiuteranno tali registrazioni per cui i contribuenti dovranno presentare ricorso (motivato dalla sentenza della Cassazione) contro il silenzio rifiuto.

 

Dott. Stefano Spina

Commercialista in Torino