venerdì 14 maggio 2021

PLUSVALENZA DA CESSIONE: IL SUPERBONUS NON SI CONTA.

 


IL SUPERBONUS NON RILEVA AI FINI DELLA PLUSVALENZA DA CESSIONE

Il superbonus eventualmente fruito dal proprietario dell’immobile non rileva ai fini del conteggio della plusvalenza nel caso di una vendita infraquinquennale dell’immobile.

Questo interessante principio è stato espresso dall’Agenzia delle Entrate nella risposta n. 204 del 24 marzo 2021.

Nello specifico un contribuente, che ha appena acquistato un immobile in un condominio eseguirà, congiuntamente agli altri condomini, una serie di lavori di efficientamento energetico riconducibili al “superbonus” di cui all’art. 119 DL 34/2020.

Tuttavia i lavori eseguiti sono stati pagati optando per lo sconto in fattura applicato dall’impresa edile ex art. 121 DL 34/2020 per cui di fatto tali importi non risultano effettivamente sostenuti dal proprietario.

Poiché l’immobile verrà venduto nei 5 anni dal suo acquisto e lo stesso non è stato adibito ad abitazione principale del cedente per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto e la vendita, scatta il presupposto per la tassazione della plusvalenza come “reddito diverso” e quindi l’opportunità di individuare di tutti i costi sostenuti da contrapporre al prezzo di vendita.

Infatti, in base all’art.68 co.1 TUIR la plusvalenza da tassare è costituita dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo.

Secondo l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, tra i costi inerenti rientrato le spese per gli interventi finalizzati alla riduzione del rischio sismico nonché quelli di effcIentamento energetico, oggetto di “superbonus”, in quanto incrementative del valore del bene.

A nulla rileva, al riguardo, il fatto che le stesse diano diritto ad una detrazione fiscale o che possano essere state pagate attraverso il meccanismo dello sconto in fattura in quanto modalità alternativa alla fruizione diretta della detrazione.

Pertanto tali spese concorreranno, insieme alle altre eventualmente sostenute, in misura piena alla riduzione dell’eventuale plusvalenza originata dalla cessione stessa.

Infatti, conclude l’Agenzia delle Entrate, una diversa interpretazione determinerebbe di fatto una tassazione della detrazione da “superbonus” attualmente non previsto dalla normativa.





OBBLIGO DI REGISTRAZIONE ANCHE PER IL PRELIMINARE TELEMATICO NON CONFORME

 


IL PRELIMINARE INFORMATICO

 ANCHE SE NON CONFORME DEVE ESSERE REGISTRATO

 

L’agenzia delle Entrate con risoluzione n. 23 del 8/4/2021 ha affrontato il tema della registrazione dei contratti preliminari redatti come documenti informatici.

I contratti, in base all’art. 44 del Cad, devono essere presentati per la registrazione in formati idonei a garantire la loro integrità, affidabilità, leggibilità e reperibilità nonché devono consentire agli uffici dell’Agenzia di acquisirli nel proprio Sistema di conservazione.

Secondo l’art. 20 comma 1 bis del Codice dell’Amministrazione Digitale “il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta ed ha l’efficacia prevista dall’art. 2702 del C.c. quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata ….”.

Il successivo comma 2 bis dispone che le scritture private di cui all’art. 1350 primo comma n. da 1 a 12 (tra le quali vi è anche la compravendita degli immobili) devono essere sottoscritti, a pena di nullità, con firma elettronica qualificata o digitale.

Siccome Il contratto preliminare deve essere redatto nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo, esso sarà nullo se non sottoscritto con firma elettronica qualificata o con firma digitale.

Al riguardo un’agenzia immobiliare aveva predisposto un contratto preliminare di compravendita in forma di scrittura privata con firma elettronica avanzata (FEA) e, al momento della registrazione, le era stato contestato il formato non conforme in quanto l’estensione del file era “.pdf” e non “.p7m” e quindi risultava impossibile la verifica dei sottoscrittori tramite Infocert.

L’Agenzia delle Entrate, senza entrare nel merito della questione civilistica relativa alla validità degli atti sottoscritti tramite FEA, in quanto si tratta di una questione di ordine civilistico, afferma che il preliminare di compravendita deve essere in ogni caso registrato.

Infatti, l’eventuale nullità o annullabilità dell’atto non dispensa dall’obbligo di richiedere la registrazione e di pagare la relativa imposta salva restituzione per la parte eccedente la misura fissa quando l’atto sia dichiarato nullo o annullato, per causa non imputabile alle parti, con sentenza passata in giudicato e non sia suscettibile di ratifica, convalida o conferma.

L’eventuale invalidità dell’atto per vizio imputabile alle parti (quale deve intendersi la sottoscrizione con firme non idonee in base alla tipologia dell’atto stesso) impedisce la restituzione delle somme versate in sede di registrazione.





 




martedì 9 marzo 2021

AGEVOLAZIONI PRIMA CASA: PROROGA DELLA SOSPENSIONE DEI TERMINI



 AGEVOLAZIONI PRIMA CASA

PROROGA DELLA SOSPENSIONE DEI TERMINI 

 

L’articolo 24 del DL 8.4.2020 n. 23 aveva sospeso, nel periodo compreso tra il 23.2.2020 ed il 31.12.2020, i termini per usufruire delle agevolazioni “prima casa.

Con l’art. 3 co. 11-quinquies del DL 183/2020 convertito nella L.26.2.2021 n.21 la sospensione viene differita di un ulteriore anno e quindi durerà dal 23.2.2020 al 31.12.2021.

I termini sospesi cominceranno o ricominceranno a decorrere dal 1.1.2022.

La sospensione riguarda:

  1. il termine di 18 mesi per il trasferimento della residenza nel Comune in cui si trova l’im­mobile acquistato;
  2. il termine di un anno (decorrente dall’acquisto agevolato) per l’alienazione della “vecchia” prima casa, nel caso in cui, al momento dell’acquisto, il contribuente fosse ancora titolare di diritti reali su una abitazione già acquistata con il beneficio;
  3. il termine di un anno per l’acquisto di un nuovo immobile da adibire ad abitazione principale, per evitare la decadenza dal beneficio goduto in relazione ad un altro immobile agevolato alienato prima di 5 anni dall’acquisto.

 In base all’’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate:

  • non risulta sospeso anche il termine di 5 anni entro il quale l’alienazione della prima casa determina la decadenza, in quanto, in tal caso, la sospensione non opererebbe “a favore” del contribuente (circ. 13.4.2020 n. 9, § 8.2.1);
  • non rientra tra i termini sospesi quello di 3 anni per l’ultimazione dell’edificio in caso di acquisto di un immobile in corso di costruzione (risposta a interpello 12.1.2021 n. 39);
  • la sospensione non riguarda i termini previsti dall’art. 15 co. 1 lett. b) del TUIR per l’accesso alla detrazione IRPEF del 19% degli interessi passivi sui mutui ipotecari per l’acquisto dell’abi­tazione principale, ma i divieti imposti dai DPCM emessi per il contenimento dell’emer­genza sanitaria possono aver in concreto configurato eventi di forza maggiore, idonei ad evitare la decadenza dalla detrazione (risposte a interpello 19.10.2020 n. 485 e 5.1.2021 n. 6).

La sospensione prevede che i termini sopra indicati siano “bloccati”, nel periodo dal 23.2.2020 al 31.12.2021, ma torneranno a scorrere, dal punto in cui sono stati sospesi, a partire dall’1.1.2022.

La sospensione riguarda:

  • sia i termini che fossero già in corso al 23.2.2020,
  • sia i termini che avrebbero cominciato a decorrere nel periodo interessato dalla sospensione, i quali cominceranno a decorrere per la prima volta dall’1.1.2022.

Pertanto

  • con riferimento ad un atto di acquisto avvenuto in data 23.1.2020, il termine di 18 mesi per il trasferimento della residenza aveva cominciato il suo decorso il 23.1.2020, ma risulta bloccato dal 23.2.2020 e ricomincerà a decorrere l’1.1.2022, e spirerà, pertanto il 31.5.2023 ovvero decorsi 17 mesi da tale momento;
  •  il soggetto che acquisti un immobile il 10.3.2021 richiedendo le agevolazioni prima casa pur essendo ancora titolare della “vecchia” prima casa, avrà tempo fino al 31.12.2022 per rivenderla, atteso che il termine di un anno comincerà a decorrere solo dall’1.1.2022.


giovedì 25 febbraio 2021

RIVALUTAZIONE DEI TERRENI: QUALE VALORE NELL’ATTO DI CESSIONE?


RIVALUTAZIONE DEI TERRENI:

QUALE VALORE NELL’ATTO DI CESSIONE?

L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 1/E del 22/01/2021 , ha affermato che in sede di vendita di un terreno edificabile o con destinazione agricola è possibile indicare un corrispettivo inferiore al valore di rivalutazione, senza che ciò determini la decadenza del contribuente dal beneficio correlato al pregresso versamento dell’imposta sostitutiva, né la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di accertare la plusvalenza secondo il valore storico del bene.

La procedura di rideterminazione del costo o valore di acquisto delle partecipazioni e dei terreni (articoli 5 e 7 della Legge n. 448 del 2001 che ha introdotto il meccanismo delle rivalutazioni) è condizionata al versamento di un’imposta sostitutiva nella misura dell’11% del valore risultante da apposita perizia redatta da professionista abilitato, sia per le partecipazioni (qualificate o non qualificate) sia per i terreni.

Nel periodo d’imposta 2021 è prevista la possibilità di rideterminare il costo o il valore di acquisto delle suddette partecipazioni e terreni detenuti alla data del 1° gennaio 2021, effettuando i relativi adempimenti entro il 30 giugno 2021.





lunedì 1 febbraio 2021

NULLITA’ DEGLI ATTI DI TRASFERIMENTO DELLA PROPRIETA’ DEGLI IMMOBILI



 NULLITA’ DEGLI ATTI DI TRASFERIMENTO DELLA PROPRIETA’ DEGLI IMMOBILI

L’art. 46 del Testo Unico dell’edilizia del 2001 dispone che gli atti tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione, o lo scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici o loro parti sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire.

Sul tema si sono formati due orientamenti della giurisprudenza che si sono rivelati tra di loro contrastanti:

  • nel primo caso (“nullità formale”) la nullità in questione assume rilievo formale e dunque l’atto traslativo dell’immobile sarà nullo in caso di mancata indicazione degli estremi del titolo abilitativo a prescindere dalla conformità del progetto realizzato al titolo menzionato in atto;
  • nel secondo caso (“nullità sostanziale”) invece non sarebbe sufficiente per la validità dell’atto la semplice menzione nell’atto del titolo abilitativo dell’immobile, se nella realtà la situazione fosse irregolare e quindi non ci fosse conformità tra progetto realizzato e titolo relativo.

Sul tema sono state chiamate a esprimersi le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con sentenza n. 8230 del 22 marzo 2019, hanno affermato che la nullità va ricondotta sotto il profilo dell’orientamento formale, e quindi deve essere volta a sanzionare la mancata inclusione degli estremi del titolo abilitativo nell’atto dispositivo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve essere riferibile proprio a quell’immobile.

Con questo principio la Corte ha voluto semplificare la disciplina della commerciabilità dell’immobile, poiché l’orientamento sostanzialista rappresentava, a suo dire, un ostacolo alla circolazione degli immobili e dunque alla compravendita, perché avrebbe costretto a pena di nullità ad accertare la regolarità urbanistica dell’immobile, ossia la conformità reale del titolo abilitativo indicato al costruito, al fine di garantire la commerciabilità e dunque la validità della vicenda traslativa.

Inoltre, secondo la Corte la tesi formale della nullità eviterebbe problemi interpretativi sul livello di difformità del costruito rispetto al progetto licenziato nel titolo abilitativo, evitando di andare ad accertare ogni volta se il grado di variazione della costruzione fosse essenziale o non essenziale rispetto al contenuto del titolo indicato.

In definitiva alla luce del principio di diritto stabilito dalle Sezioni Unite, un atto di trasferimento di un immobile è nullo solo se il venditore non menziona il titolo in forza del quale è stato costruito l’immobile o se il venditore dichiari che l’immobile è stato costruito in forza di un titolo abilitativo che poi si riveli inesistente o riferito ad un immobile diverso da quello venduto.

Nessuna rilevanza, ai fini della declaratoria di nullità dell’atto di trasferimento, avrà invece la conformità del bene realizzato a quanto contenuto nel titolo abilitativo, restando tuttavia valide ed operanti in tal caso, le altre azioni (risoluzione del contratto, risarcimento dei danni, riduzione del prezzo, ecc.) a tutela dei diritti della parte acquirente.




giovedì 21 gennaio 2021

SEZIONI UNITE CORTE DI CASSAZIONE: NO AGLI USI ESCLUSIVI DELLE PARTI COMUNI

 


SEZIONI UNITE DELLA CASSAZIONE

NO AGLI USI ESCLUSIVI DELLE PARTI COMUNI

 

E’ di recentissima pubblicazione (17/12/2020) la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 28972, intervenuta a dirimere una questione su cui si dibatte da decenni, sul tema della legittimità o meno degli usi esclusivi su parti comuni condominiali, quali diritti reali trascrivibili, di carattere perpetuo e trasmissibili. L’intervento delle Sezioni Unite, stante la rilevanza del problema ed i rilevati contrasti giurisprudenziali e dottrinali, era stato sollecitato da una ordinanza della seconda sezione della Corte di Cassazione (n. 31420 del 2019), che aveva evidenziato la necessità di risolvere in modo radicale ogni questione relativa alla legittimità ed alla natura del diritto di uso esclusivo su parti comuni condominiali.

 Si tratta, per meglio intenderci, della prassi, soprattutto notarile, diffusa da decenni, di caratterizzare il cosiddetto “uso esclusivo” di parti condominiali quale diritto perpetuo e trasmissibile, di contenuto pertanto reale e non strettamente personale, conseguentemente collegando la facoltà di usare una parte condominiale individuata a favore non di un soggetto, bensì della porzione di proprietà individuale, con rapporto pertinenziale, senza limiti temporali.

 La decisione assunta, di estrema rilevanza alla luce della ampia diffusione e frequenza di tali attribuzioni di parti condominiali in uso esclusivo a favore di proprietà singole, ne ha negato il carattere di diritto reale e sostanzialmente la validità, esprimendo il seguente principio di diritto:

"La pattuizione avente ad oggetto la creazione del c.d. "diritto reale di uso esclusivo" su una porzione di cortile condominiale, costituente come tale parte comune dell'edificio, mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, tale da incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune, sancito dall'art. 1102 c.c., è preclusa dal principio, insito nel sistema codicistico, del numerus clausus dei diritti reali e della tipicità di essi".

 È ovvio che tale decisione ha un effetto quasi deflagrante nel diritto condominiale e immobiliare in generale, creandosi nell’immediato comprensibili e grandi problemi non solo per la definizione dei diritti nelle nuove costruzioni, ma anche e soprattutto per la commercializzazione di unità immobiliari esistenti e facenti parte di condominio, alle quali sia stato attribuito nell’atto di provenienza il diritto esclusivo di uso di una o più parti condominiali.

 La motivazione di detta sentenza è molto articolata e diffusa, in questa sede si ritiene opportuno riportarne solo in estrema sintesi alcuni tratti salienti.

 Sostanzialmente, per le Sezioni Unite della Corte:

             il c.d. “diritto reale di uso esclusivo” di parti condominiali è incompatibile con la norma dell’art. 1102 c.c. costituendo, per quanto riguarda gli altri condomini, nella sostanza un illegittimo divieto generalizzato di utilizzare una porzione della loro proprietà comune, svilendo il loro diritto;

             il diritto di uso esclusivo neppure può essere inquadrato tra le servitù, per motivi simili, in quanto un diritto di godere in modo generale e totale del fondo servente (la parte condominiale attribuita in uso esclusivo) a favore del fondo dominante (la parte di proprietà esclusiva a cui detto diritto sia attribuito) determinerebbe lo svuotamento della proprietà nel suo nucleo fondamentale; in altre parole, la decisione esprime il concetto che la costituzione di una servitù ben possa comportare una restrizione delle facoltà di godimento del fondo servente per il suo proprietario (in questo caso comproprietario - condomino), ma mai una sua “totale elisione delle facoltà di godimento”.

             sul tema della trascrizione, viene posto in evidenza come l’art. 2643 c.c. contenga una elencazione tassativa dei diritti reali soggetti a trascrizione e che non rientri nell’autonomia delle parti private di costituire diritti reali al di fuori di quelli tassativamente previsti dalla legge;

             le “obbligazioni propter rem” e gli oneri reali sono caratterizzati dal requisito della tipicità e possono quindi sorgere per contratto solo nei casi e col contenuto espressamente previsti dalla legge.

 Le Sezioni Unite pervengono quindi, sulla base di tali considerazioni, a pronunciare il richiamato principio di diritto, annotando che resta riservata al legislatore la facoltà (che, n.d.r., potrebbe essere auspicabile nella situazione attuale, al fine di risolvere le problematiche e scongiurare l’insorgere di ampi e numerosi contenziosi negli ambiti condominiali e di commercializzazione degli immobili) di “dar vita a nuove figure che arricchiscano i tipi reali normativi”; in altre parole, che solo per legge e non per l’autonomia privata può essere introdotto un nuovo diritto reale.

 Per quanto riguarda l’esistente, l’indirizzo delle Sezioni Unite è di procedersi ad esaminare caso per caso e verificare se, nel concreto e in realtà, al momento della costituzione del condominio e del diritto in contestazione, veramente si sia inteso attribuire al condomino/acquirente solo l’uso esclusivo della porzione e non invece la proprietà della porzione (con tutti i conseguenti problemi, non ultimo il frazionamento catastale delle parti comuni, oltre che ovviamente il regolamento e la formalizzazione dei rapporti con gli altri condomini), ovvero se si sia inteso, al contrario, costituire un diritto reale d’uso di cui all’art. 1021 c.c., che però, per legge, non si può né cedere né dare in locazione ed ha una durata massima che (come l’usufrutto) non può eccedere quella della vita del titolare.

Avv. Giuseppe Baravaglio

Avvocato in Torino

lunedì 21 dicembre 2020

SECONDE CASE: ISTRUZIONI PER L'USO

 


ACQUISTO E GESTIONE DELLE SECONDE CASE


In questi momenti, ove risulta oltremodo difficile e rischioso un “turismo” di lunga distanza, si stanno riscoprendo le seconde case sia come luogo di “isolamento” che alternativa alle strutture ricettive per i periodi di vacanza.

Al di là delle scelte connesse alla loro ubicazione, e quindi oltre ai classici mare/montagna anche le alternative lago/campagna, e della distanza dalla propria residenza una decisione sostanziale riguarda l’acquisto piuttosto che l’affitto.

In tema di compravendita il legislatore fiscale non ha previsto particolari agevolazioni in quanto la sua intenzione è stata da sempre quella di privilegiare con un’imposta ridotta l’acquisto della “prima casa”.

Tuttavia, nel caso in cui l’acquisto sia posto in essere da persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, indipendentemente dalla natura del cedente (persona fisica o società) e purché la cessione abbia ad oggetto un immobile ad uso abitativo con le relative pertinenze, risulta applicabile l’agevolazione della tassazione sul “prezzo-valore” introdotta dall’art. 1 co. 497 L. 266/2005.

In tal caso, purché l’acquirente lo richieda espressamente nell’atto di compravendita, la base imponibile dell’imposta di registro è determinata, se più favorevole, con riferimento al valore catastale del bene trasferito che, nel caso di acquisto di seconde case, sarà pari alla rendita catastale rivalutata per il cinque per cento e moltiplicata per 120.

Il metodo del prezzo valore si applica anche nel caso in cui l’immobile sia dotato di rendita solamente proposta ex D.M. 701/94. In tal caso non occorre, nell’atto stesso, richiedere l’attribuzione della rendita catastale definitiva ex art.12 co. 2-bis del DL 70/88 in quanto tale adempimento risulta assorbito dalla richiesta di applicare la tassazione sulla base del prezzo valore.

L’agevolazione non si può invece applicare ove l’acquirente non sia una persona fisica (ad esempio l’acquisto da parte della società semplice immobiliare di famiglia) oppure il venditore sia il costruttore dell’immobile e la vendita venga posta in essere nei cinque anni dal termine della costruzione.

Nel caso in cui la vendita sia assoggettata ad IVA di applicherà, sulle seconde case e relative pertinenze, l’aliquota del 10% sul corrispettivo pattuito mentre negli altri casi si applicherà l’imposta di registro con l’aliquota del 9% con la misura minima di euro 1.000,00.

Cambierà, ovviamente, la base imponibile in quanto non sarà più il valore catastale bensì quello venale in comune commercio che potrebbe anche essere superiore al corrispettivo indicato in atto. Infatti gli uffici dell’Amministrazione finanziaria hanno la possibilità di verificare, nei due anni successivi alla compravendita, se il corrispettivo riportato in atto rappresenti effettivamente il valore venale in comune commercio del bene ceduto e, se del caso, chiedere la differenza di imposta.

E’ questo un aspetto da tenere in considerazione quando si riesce a spuntare “un affare” e quindi pagare un corrispettivo inferiore al valore venale dell’immobile; se invece le condizione del fabbricato, in termini di scarsa manutenzione oppure condizioni oggettive, giustificano tale minor prezzo sarà opportuno documentare la situazione di fatto con idonea documentazione ed eventualmente una perizia di parte da esibire in caso di contenzioso.

In tema di imposte ipotecarie e catastali le regole sono semplici in quanto, ove l’atto sia assoggettato ad IVA, saranno dovute le imposte fisse di euro 200,00 cadauna (per un totale di euro 400,00) mentre ove l’atto sia assoggettato ad imposta di registro saranno dovute le imposte fisse di euro 50,00 cadauna (per un totale di euro 100,00).

Utilizzando direttamente l’immobile sarà dovuta l’IMU calcolata con le aliquote annualmente determinate dal comune mentre non dovranno essere pagate le imposte dirette.

Infatti, ai sensi dell’art.8 co.1 DLgs 23/2011, l’IMU sostituisce l’IRPEF e le relative imposte addizionali (regionale e comunale) dovute sui redditi fondiari relativi ai beni immobili non locati.

Ai fini IMU non vi sono sconti particolari salvo specifiche riduzioni di aliquota che potrebbero prevedere i singoli comuni. Infatti, per poter fruire dell’esenzione quale “abitazione principale” occorre che il possessore ed i componenti del suo nucleo familiare dimorino abitualmente nell’immobile e vi risiedano anagraficamente, a nulla rilevando il solo cambio di residenza richiesto, magari, per poter fruire a ragione o torto, dell’agevolazione “prima casa”. Al riguardo, con riferimento alla possibilità di richiedere l’esenzione dell’imposta a seguito del trasferimento della residenza da parte di un solo coniuge, si segnala la recente sentenza della Corte di Cassazione n.28534 del 15.12.2020 in base alla quale “non basta che il coniuge abbia trasferito la propria residenza nel comune in cui l'immobile è situato ma occorre che in tale immobile si realizzi la coabitazione dei coniugi” negando di fatto l’esenzione sull’altro immobile.

Se invece si vuole affittare con contratti stagionali l’immobile a terzi, oltre alla regola ordinaria che prevede la tassazione del maggiore tra il 95% del canone di locazione risultante dal contratto e la rendita catastale, si può optare per la cedolare secca di cui all’art. 3 DLgs 23/2011.

Tale opzione è possibile solamente se il locatore è una persona fisica al di fuori dell’esercizio di impresa, arti o professioni che loca ad un conduttore persona fisica un immobile a destinazione abitativa.

In tal caso la cedolare secca, che sarà pari al 21% dell’importo contrattuale senza alcuna riduzione, sostituisce l'IRPEF, le addizionali regionale e comunale all'IRPEF, nonché le imposte di registro e di bollo relative al contratto di locazione.


 Dott. Stefano Spina

Commercialista in Torino